Carenze, contraffazione e Brexit le preoccupazioni dall'Europa

24/06/2019


Nel 2018, la maggior parte dei Paesi membri della Ue hanno dichiarato di aver avuto carenze di farmaci negli ultimi 12 mesi e il 38% ha indicato che la situazione è peggiorata rispetto all'anno precedente. In particolare, in Portogallo, l'Associazione Nazionale delle Farmacie (ANF) ha registrato un aumento del 32,8% dei medicinali carenti rispetto al 2017. I dati emergono dal recente Position Paper del Pgeu sulla gestione delle carenze, tema di grande peso rispetto alla qualità e all'accessibilità dell'assistenza farmaceutica al paziente. E a preoccupare, su questo fronte, sono anche le ricadute che la Brexit potrà avere su farmaci, dispositivi e presidi sanitari. A fare il punto Maximin Liebl, presidente dell'Ordine di Bolzano e membro del Pgeu.

Il ruolo dei farmacisti di comunità nelle carenze
«Le origini del problema» si legge nel Position Paper «possono essere molteplici, ma, in generale, le carenze di farmaci sono il risultato della concomitanza di ragioni economiche, produttive o normative. I farmacisti di comunità, tuttavia, sono in grado di assicurare la continuità delle cure, riuscendo a minimizzare l'impatto sullo stato di salute dei loro pazienti nella maggior parte dei casi. Ma perché questo importante ruolo possa continuare, eÌ necessario supportare ulteriormente i farmacisti, rimuovendo diversi ostacoli.
Tanti sono i consigli avanzati dal Pgeu e tra questi c'è quello di «sviluppare sistemi di gestione efficaci: eÌ necessaria una stretta collaborazione tra gli Stati dell'UE e l'Agenzia europea per i medicinali (EMA), in particolare per migliorare la segnalazione, il monitoraggio e la comunicazione sulle carenze di medicinali. A livello nazionale, occorre sviluppare modelli di collaborazione più strutturali, tempestivi e trasparenti tra gli attori della supply chain e le autorità nazionali competenti, al fine, da una parte, di aumentare l'efficienza e l'efficacia delle operazioni di notifica e valutazione delle carenze e, dall'altra, di consentire ai farmacisti di ridurne l'impatto sui pazienti».
Importante in questo senso è anche «la comunicazione, che va migliorata»: occorre «garantire che i farmacisti ricevano informazioni tempestive sulle (previste) carenze di farmaci», attraverso la «creazione di strumenti di comunicazione efficaci tra tutti gli attori della filiera e le autorità nazionali competenti».

Se le carenze, in generale, stanno preoccupando i farmacisti di tutta Europa, ancora di più si temono gli impatti della Brexit, «qualunque forma prederà» spiega Liebl. Una questione che toccherà «soprattutto alcuni Paesi, come l'Irlanda, dove gran parte dei farmaci arrivano dall'Inghilterra».
Ma c'è poi il tema dei «presidi sanitari: la maggior parte dei certificatori europei, probabilmente per una maggiore facilità amministrativa, si sono concentrati in Inghilterra. La richiesta, enorme, andrà a riversarsi sulle agenzie presenti sul Continente, che tuttavia non è detto siano in grado di reggere il flusso».
E, in generale, «occorre considerare i pesanti impatti normativi: negli ultimi 25 anni la vita sanitaria (e non solo) dei diversi Paesi è stata normata attraverso direttive europee, che sono entrate a far parte del sistema di ogni Stato. Ora, tutte quelle direttive vanno gestite e, per quanto riguarda l'Inghilterra, nuovamente regolamentate, con costi che ricadranno un po' su tutti». Tra queste «c'è anche la direttiva sulla contraffazione, partita a febbraio pur con tutte le difficoltà finora segnalate. Che cosa succederà nell'operatività delle farmacie e delle aziende inglesi quando il processo di Brexit sarà completato?».