Diretta vs Dpc, Aceti: si tenga conto delle differenze di qualità di servizio. Costi non ricadano su paziente

11/02/2018


Nel dibattito tra costi della distribuzione diretta e della Dpc, un confronto può essere effettuato solo a parità di prestazioni erogate e di standard di servizio. Meno sono le ore di apertura al pubblico giornaliere o settimanali di un servizio, più basso sarà il suo impatto in termini di costi organizzativi per la struttura erogatrice, ma, parallelamente, più alto sarà il costo per il paziente. Tuttavia, in un servizio sanitario pubblico i bisogni del cittadino non possono essere relegati a "scelta" politica delle istituzioni, sono al contrario un obiettivo fondante intorno al quale costruire i sevizi. Sono queste, in sintesi, alcune delle riflessioni con cui Tonino Aceti, Coordinatore nazionale del Tribunale per i diritti del malato-Cittadinanzattiva (TDM), si inserisce nel dibattito che si è generato su Diretta e Dpc all'indomani della ripresa di inizio anno del Tavolo Sifo, dedicato al tema, che vede riunite le sigle delle farmacie del territorio e la rappresentanza dei pazienti.

Partiamo dal vissuto dei cittadini: sulle modalità di distribuzione diretta e Dpc, quali segnalazioni arrivano?
Per quanto riguarda la Diretta, il primo nodo indicato dai pazienti è la distanza rispetto al punto di erogazione del farmaco, avvertita in maniera più accentuata nelle zone non urbane, ma rilevante anche per le aree metropolitane. Questo aspetto implica che il paziente debba impiegare risorse economiche e mezzi propri e, in presenza di difficoltà motorie, farsi accompagnare. Un secondo punto è l'organizzazione e l'accoglienza del servizio: giungono segnalazioni che hanno riguardato code e tempi di attesa lunghi. Su questo, basterebbero piccoli accorgimenti, come per esempio il numero progressivo, per rendere meno gravosa l'attesa. Infine, c'è un aspetto fondamentale e di grande impatto sulla vita dei pazienti e dei caregiver: gli orari di apertura, poco estesi e per lo più incompatibili e incoerenti con il ritmo normale delle persone. Accade, per esempio, che il servizio è operativo di mattina o nelle prime ore del pomeriggio, orari poco consoni per chi lavora, che si vede obbligato a richiedere permessi o ferie. Credo che alla base di una organizzazione di questo tipo ci sia una tendenza a sviluppare il servizio non tanto, come dovrebbe, attorno ai bisogni della persona, ma sulle necessità dell'organizzazione stessa. E questo è un errore grossolano, specialmente per un servizio pubblico. Così facendo si comprime la spesa pubblica per il servizio scaricando i relativi costi sui redditi delle famiglie.

Passiamo alla Dpc.
La distribuzione per conto è apprezzata dai cittadini soprattutto in relazione alla capillarità delle farmacie sul territorio e agli orari, ampi e compatibili con le esigenze delle persone e la vita lavorativa. Il problema che viene segnalato è che non sempre il farmaco richiesto è immediatamente disponibile e non sempre, anche una volta ordinato, viene poi procurato nei tempi corretti.

Veniamo al tema della sostenibilità economica per il Ssn. Da anni è in corso un dibattito per capire quale modalità di distribuzione, tra diretta e Dpc, costi meno. Di recente, ci ha tentato il tavolo lanciato dalla Sifo l'anno scorso, a cui partecipano anche le farmacie del territorio e Tdm-Cittadinanzattiva.
Per quanto riguarda il dibattito in corso, faccio prima una premessa: un confronto sui costi effettivi delle modalità di distribuzione di questi farmaci deve essere effettuato a parità di prestazioni erogate e soprattutto standard di servizio, altrimenti è come confrontare entità diverse, mele con pere. Se nel modello di calcolo dei costi considero solo quelli relativi alla produzione del servizio - per esempio materiale, tempo del personale, e così via - senza considerare il livello di accessibilità e qualità del servizio offerto al cittadino, non ottengo una fotografia completa. E per altro, è evidente che un servizio che garantisce minori ore di apertura al pubblico giornaliere viene, probabilmente, a costare meno sotto questi aspetti.

E per assurdo, ulteriori risparmi potrebbero essere ottenuti riducendo il servizio?
Purtroppo avviene ed è avvenuto così: soprattutto nelle realtà con piano di rientro o laddove c'è carenza di personale è stata portata avanti, in alcuni casi, una riduzione oraria delle farmacie ospedaliere o distrettuali, con disponibilità solo al mattino o solo al pomeriggio e neanche per tutti i giorni della settimana. Credo che al Servizio sanitario sarebbe, sì, utile avviare una indagine per mettere in luce i costi delle modalità di distribuzione di questi farmaci, analizzare i diversi modelli regionali e rilevare le performance delle prestazioni per entrambi i canali. Una indagine però che sia indipendente e sgombri il campo da tutte le ricerche di parte che esistono sul tema. Ma in ogni caso, lo ripeto, in una stima della spesa, non si può prescindere da quanto ricade, in termini di costi vivi o di costi evitati, su paziente e familiari. Questi costi devono far parte del calcolo.

Cioè?
Il punto è che se si vuole individuare o elaborare un modello di riferimento di distribuzione, non si può non tenere conto della qualità di vita per il paziente e per i famigliari, dei risvolti lavorativi, sociali ed economici. Il modello deve, sì, tenere conto delle risorse pubbliche che vanno utilizzate al meglio, ma la sostenibilità del paziente e dei famigliari deve essere centrale. Perché le risposte assistenziali messe in campo devono permettere al cittadino di continuare a realizzarsi, di contribuire alla società anche attraverso il lavoro, di essere integrato e incluso nella vita sociale. Altrimenti, il servizio sanitario nazionale manca una delle sue mission principali. Non dimentichiamoci che il nostro è un sistema pubblico e universalistico: per il Ssn guardare alle esigenze appropriate dei cittadini non è un fatto opzionale, ma è un elemento fondante. Altrimenti diventa un'altra cosa, non certo un servizio pubblico.

Ma da alcuni è stato sostenuto che la qualità del servizio erogato è una scelta politica. Non c'è il rischio che possa diventare un alibi?
La sostenibilità e la tenuta dei conti è sacrosanta, ma non ci si può appiattire solo su questo aspetto, seppur importante, e poi dipende come la si intende garantire. Il "come lo fai" fa la differenza. Esistono diritti sanciti dalle leggi che vanno garantiti e bisogni appropriati che è giusto soddisfare. Il salto da fare è quello di "piegare le politiche di bilancio delle amministrazioni "al fine di garantire la salvaguardia dei diritti e la soddisfazione dei bisogni "appropriati" dei cittadini. Garantire un alto livello di accessibilità e qualità del servizio non è opzionale ma è imprescindibile. Direi che è il faro che deve guidare il lavoro quotidiano delle istituzioni sanitarie.