Giorni: convenzionata va ridotta a favore Dpc. Disponibili a rivedere diretta

28/03/2017


Lo hanno ribadito all'interno del tavolo del Mise sulla diretta: per le Regioni il volume della Dpc va ampliato, con un passaggio di farmaci dalla convenzionata, perché dal meccanismo delle gare ci sarebbe, per il servizio sanitario, un risparmio di circa il 40-45%. E, a fronte di un accordo in questa direzione, sul piatto c'è la disponibilità a rivedere in senso critico anche la distribuzione diretta allargandola, laddove ci siano le condizioni e a saldi invariati per le Regioni, alla Dpc. Una posizione a cui Annarosa Racca, presidente di Federfarma, dalle pagine della Filodiretto di settimana scorsa, ha contrapposto le ragioni della farmacia: caso mai «la distribuzione diretta va ridimensionata trasferendo alla convenzionata tutti i farmaci di uso consolidato e a brevetto scaduto, nonché quelli il cui prezzo rende comunque più conveniente la dispensazione in farmacia, e con un passaggio alla dpc di tutti gli altri farmaci che non richiedano cautele e ambiente controllato in fase di somministrazione».
F-Online ha intervistato Loredano Giorni, responsabile del Servizio farmaceutico della Regione Piemonte, e rappresentante delle regioni al tavolo, per approfondire il tema.

Dott. Giorni, partiamo dalla posizione delle Regioni.
Vorremmo cercare di raggiungere un accordo quadro con la filiera. Nostro intento è di trasferire una parte dei farmaci attualmente in regime di convenzione alla distribuzione per conto. Da questa operazione ci attendiamo un risparmio che è valutabile, in base delle quantità mosse, sul valore dei farmaci spostati del 40-45%. Questo significa che per ogni miliardo di euro in valore di farmaci che si spostano dalla convenzionata alla Dpc si risparmiano 400 milioni.

Di un ridimensionamento della diretta si parla?
Il punto di partenza è la condivisione dell'obiettivo di trasferire farmaci dalla convenzionata alla Dpc. Se ci sarà un accordo per allargare la Dpc, nulla osta a rivedere in senso critico la distribuzione diretta e, in alcuni casi, dove le condizioni sono cambiate, di allargarlo alla Dpc. Ma questo deve essere in ogni caso a saldi invariati per le Regioni.

E in mancanza di un accordo?
Ogni regione va avanti per la propria strada e si attiva per fare la Dpc a livello regionale. Anche se questo è contrario all'intento che ci siamo posti al tavolo di uniformare, nei limiti del possibile, la situazione a livello nazionale.

Ha parlato di risparmi. In che maniera le regioni risparmiano?
Gli acquisti diretti tramite gara pubblica introducono nel mercato farmaceutico un meccanismo concorrenziale: se per lo stesso farmaco ci sono più possibilità, mi rivolgo all'azienda che me lo offre al prezzo più basso.

Di che volume di farmaci si sta parlando?
È tema che va discusso, approfondito, verificato. Secondo noi si dovrebbe parlare di quantità significative. Ma chiaramente va visto se ci sono le condizioni. La nostra considerazione è che abbiamo dieci miliardi di euro della farmaceutica convenzionata che compriamo a listino secondo prezzi negoziati dall'Aifa e non attraverso le gare: se di questi riuscissimo a trasferire alla Dpc - e quindi al sistema delle gare - 3-4 miliardi, ci sarebbe un miliardo e mezzo di risparmio per il servizio sanitario. Non poco.

Al tavolo le è stato obiettato da parte dell'industria che esiste già un livello di negoziazione dei prezzi.
Se l'industria vuole negoziare solo con Aifa, a noi va bene. Lo faccia però ai prezzi di mercato. Non abbiamo nulla in contrario a ricontrattare tutti i farmaci sulla base dei prezzi reali di acquisto delle regioni. Guardi, anche al Tavolo ho portato questo esempio. Nella mia Regione ho un farmaco che oggi ha un prezzo ex-factory di 250 euro e un prezzo al pubblico di 350. Come regione lo compro a tre-quattro euro. Mi dica lei come faccio a rinunciare a questo e spiegarlo al contribuente?

L'industria ha obiettato che non sarebbe sostenibile un regime di prezzi come quello esemplificato da lei su più larga scala.
A parte l'esempio, è una questione di stare sul mercato. Se le aziende non sono più in grado di reggere la concorrenza, c'è qualcosa che non va. Stiamo parlando di un'industria che è stata sostenuta - forse anche troppo - dal sistema pubblico. Che non se lo può permettere più. Allora forse le industrie devono fare i conti con la nuova realtà economica che si è venuta a creare. Come d'altra parte è successo a tante altre categorie di lavoratori e imprese, che in molti casi si sono reinventati. Forse allora è il momento di ripensare quella che è l'industria farmaceutica. Perché il distretto del farmaco non si può reinventare?

Da un allargamento degli acquisti diretti e delle gare non c'è il rischio, come paventato da alcuni economisti, che le aziende rimaste fuori perdano interesse per quella molecola, con impatti quindi sulla concorrenza?
Attualmente il regime della dpc è applicato a un volume di farmaci che copre circa un terzo, un quarto dell'assistenza farmaceutica e coinvolge tantissime aziende e farmaci, dai brand ai generici, ai biosimilari, e così via. Questo fenomeno per ora non si è verificato. Perché si dovrebbe verificare ora?