Risposta comune a una crisi sistemica

31/01/2017


Quasi nessuno ha notato come la crisi di governo del dicembre scorso, e l'immenso dibattito politico che ne è seguito abbiano avuto un grande assente: la sanità italiana. Decine di conferenze stampa di ogni partito politico, centinaia di editoriali della carta stampata, migliaia di tweet, dichiarazioni riassuntive del vecchio governo e annunci programmatici del nuovo Premier e dei suoi Ministri: in tutto questo non una sola parola sul settore che rappresenta una delle parti più consistenti del welfare italiano e che, ricordiamolo en passant, incide come pochi altri nella quotidiana qualità della vita dei cittadini. Abbiamo il dubbio che questo silenzio non sia dovuto a dimenticanza. Temiamo invece che non si parli più della sanità italiana e della sua crisi, perché ormai la si accetti come fatto incontrovertibile. Come è possibile tacere sulla sanità italiana quando abbiamo scoperto che nel 2015, per la prima volta nella storia del paese, la speranza di vita è calata rispetto al passato. Perché oggi moriamo prima? A parere di molti, noi compresi, l'unica spiegazione sta nel fatto che ci curiamo di meno, che investiamo di meno in prevenzione perché, né noi privati cittadini né lo Stato, possiamo più permettercelo.

È una cosa di una gravità sociale enorme. Stiamo parlando di uno Stato che perde pezzi di sicurezza sanitaria per i suoi cittadini. Solo chi ha la possibilità economica di curarsi privatamente può sperare di vivere più a lungo di un suo concittadino meno abbiente. A supporto di questo dato generale sono poi intervenuti altri studi più specifici. Il primo è il rapporto Crea 2016 nel quale, tra le altre cose, si dimostra come stia aumentando la disuguaglianza regionale dei servizi sanitari pubblici. È cosa nota da sempre, ma questa volta Crea la analizza da un punto di vista sistemico, notando come le regioni più virtuose siano anche quelle con un pil più alto. Dove c'è ricchezza c'è anche servizio sanitario migliore, forse perché maggiore ricchezza è possibile dove la macchina pubblica nel suo complesso funziona meglio. Non può esserci buona sanità se ci sono gravi inefficienze della pubblica amministrazione e scarso sviluppo economico. Altro documento di grande interesse è il report Aifa sulla spesa farmaceutica dei primi otto mesi del 2016 nel quale si conferma l'andamento fuori controllo della spesa ospedaliera (+47% rispetto al programmato), calo della spesa convenzionata, mentre aumenta fortemente la distribuzione diretta (+23%).

Quindi, mentre a livello generale cala il rapporto pil/spesa sanitaria (il peggiore di tutti i paesi ad economia avanzata della UE), la sanità pubblica opera in condizioni di disfunzione sistemica. Abbiamo meno risorse e le utilizziamo male.

Siamo insomma di fronte ad una crisi sistemica che ci interroga non solo da un punto di vista etico, ma anche manageriale. Non tutti gli altri componenti del SSN italiano hanno questa bidimensionalità. Per il suo essere un soggetto di cosiddetto privato-sociale, la farmacia persegue obiettivi di interesse comune attraverso strutture aziendali private. Dispensiamo prodotti e servizi che tutelano la salute dei nostri concittadini, con la necessità però di far quadrare i nostri bilanci aziendali. Questo vale tanto per le farmacie private quanto per quelle comunali. Questa è, a ben guardare, una condizione che certo rende il nostro lavoro più impegnativo di altri (non ci possiamo permettere cronici rossi di bilancio tipici di certe strutture ospedaliere), ma al tempo stesso fa di noi soggetti necessariamente più propensi all'innovazione rispetto ad altri segmenti del SSN. O riusciamo a rinnovare il nostro rapporto con il SSN, o riusciamo a dimostrare che la farmacia è un elemento vincente in questa nuova sfida del contenimento della spesa della sanità pubblica, oppure prima o poi verremo derubricati a ramo secco del sistema. A questa crisi sistemica va data una risposta comune di tutta la filiera distributiva del farmaco. Alla mancanza di idee e prospettive della politica, la nostra risposta deve essere estremamente concreta e operativa: cose da fare, che si possono iniziare ora. Su questo approccio Assofarm si sente molto vicina ai vertici di Federfarma Servizi. Da anni sia il presidente Antonello Mirone che il direttore generale Giancarlo Esperti sostengono una maggiore unità di tutti i soggetti impegnati nella distribuzione del farmaco. Concordiamo con loro sul fatto che non esista alternativa possibile a questa unità. Peraltro non sembrano mancare le occasioni per passare dalle parole ai fatti. L'ultimo Tavolo sulla nuova remunerazione è stato soprattutto questo, prima che le dissociazioni dei Ministeri dell'Economia e Finanze e della Sanità annullassero il tutto. E oggi il dibattito sul parallel trade sembra costituire un terreno molto fertile per far crescere proposte e riforme comuni.

C'è però un rischio che deve essere evitato. Quello di interrompere la riflessione comune quando si scopre che il tema su cui tutti concordavano viene poi inteso in maniera diversa dai diversi soggetti seduti attorno al tavolo. Così è stato quando l'entusiasmo comune per la volontà di rilancio della professionalità del farmacista si è immediatamente arenato sulla proposta del dossier farmaceutico, inizialmente non compreso da diverse sigle del settore. Il fatto che oggi lo stesso tema sia portato avanti da tutti dimostra come a suo tempo non venne prestata sufficiente attenzione all'approfondimento di una proposta poi rivelativi appropriata e interessante per tutti. Oggi non possiamo ripetere errori simili su temi quali, l'accreditamento di servizi su base volontaria. È certamente un tema che presenta elementi di complessità. Lo si deve affrontare immaginando un futuro caratterizzato da maggiore diversità tra le farmacie. Ci saranno farmacie che avranno le caratteristiche giuste per dispensare certi servizi sanitari, e ci saranno altre farmacie che legittimamente perseguiranno la strada del drug store. Se oggi abortiremo il dibattito dei servizi volontari solo per incapacità di accettare questo futuro più diversificato, perderemo tutti tempo e dovremo riaffrontare il medesimo problema più avanti.

Il fattore tempo è ormai la variabile prioritaria. Se continueremo con un atteggiamento ozioso sul Tavolo per la nuova remunerazione, se attenderemo passivamente la prima mossa delle Regioni per il rinnovo della convenzione, se non stimoleremo maggiore solerzia istituzionale su tema quali la distribuzione per conto o il parallel trade, ad ogni gennaio ammireremo numeri di bilancio sempre più sconfortanti. Forse l'unico modo per evirare questi rischi è quello di condividere tutti la medesima vision della farmacia di domani. Al riguardo, Assofarm è assolutamente convinta che le farmacie comunali italiane potranno garantire la loro sostenibilità economica e al contempo avere un ruolo sociale positivo solo se promuoveranno e tuteleranno la centralità sanitaria del farmacista.

Come già accennato, le farmacie italiane potranno avere anche una componente salutistica, nei presidi che hanno spazi adeguati si potranno anche somministrare servizi sanitari non farmaceutici, ma siamo certi che le nostre farmacie debbano essere prima di tutto il luogo in cui un professionista dotato di competenze sue uniche e specifiche dispensa medicinali ed è messo nelle condizioni di seguire tutta la terapia farmacologica del paziente, in coordinamento con i medici curanti.

Se non lotteremo per valorizzare ciò che rende unica la nostra presenza all'interno del SSN, prima o poi altri riusciranno a dimostrare che non siamo necessari. È una lotta che ci vede soli contro tutti. Istituzioni centrali e regionali, partiti politici di ogni colore, tutti sono ben disposti a dichiarare a parole quanto siamo importanti, ma nessuno sta dimostrando di credere veramente in questo.

Siamo noi che dobbiamo dimostrare quanto valiamo, quanto possiamo dare, quanto possiamo far risparmiare a fronte dell'erogazione di servizi d'eccellenza. È giusto denunciare rispettosamente le mancanze della politica, a patto però che si accetti la sfida di dimostrare nei fatti che il SSN ha dovere e convenienza a valorizzare la nostra presenza. Non ci salveremo per la bonarietà altrui, ma perché avremo avuto la forza per farlo.


Francesco Schito
Segretario generale di Assofarm