Capitale, incompatibilità e società derivate: da parere Cds poca chiarezza

29/01/2018


Il parere del Consiglio di Stato di inizio anno ha chiarito alcuni aspetti dell'applicazione della Legge sulla Concorrenza, sulla base dei quesiti avanzati dal ministero della Salute il 3 novembre, ma rimangono sul tappeto alcune questioni, in particolare per quanto riguarda il punto dell'incompatibilità. Uno dei nodi, come ha segnalato Paolo Leopardi, avvocato, è che «le incompatibilità indicate sono in capo a chi stipula la società autorizzata all'esercizio farmaceutico, mentre non si estendono in modo esplicito alla loro provenienza, alle società da cui derivano». In relazione a tale aspetto, il parere del Consiglio di Stato, pubblicato il 3 gennaio, si è soffermato «in modo particolare sull'incompatibilità con la posizione di titolare, gestore provvisorio, direttore o collaboratore di altra farmacia» a fronte del quesito ministeriale finalizzato a capire "se l'applicazione della disposizione possa essere limitata unicamente ai casi in cui la partecipazione alle società di farmacia comporti lo svolgimento di analogo ruolo in seno alla farmacia ″sociale″ o comunque di un ruolo idoneo ad incidere sulle decisioni della società (es. amministratore) e non anche, quindi, ai casi in cui la partecipazione si sostanzi in un mero versamento di capitale, senza che il socio, di fatto, acquisisca alcun ruolo decisionale nell'ambito della società". Da qui è emersa una visione «estesa della incompatibilità, che riguarda quindi anche le società partecipate, per cui, per esempio, un titolare o gestore provvisorio di altra farmacia non può costituire una società attraverso cui partecipare una società autorizzata all'esercizio della farmacia».
Ma questo passaggio «non è stato oggetto di esame in relazione alle altre declinazioni della incompatibilità», che riguardano "qualsiasi altra attività svolta nel settore della produzione e informazione scientifica del farmaco, nonché con l'esercizio della professione medica" e "qualsiasi rapporto di lavoro pubblico e privato".

«Pensiamo per esempio all'attività medica: la ratio della legge è chiara: medico e farmacista non possono convivere. Meno chiara è la formulazione» o meglio quanto «la norma di fatto vieta». Per come è oggi indicata la misura, «è chiaro che un medico non può partecipare a una società titolare di farmacia. Ma non esiste un divieto esplicito di partecipare a una società che gestisce la farmacia per una società che sia partecipata da medici o che svolga attività medica, pur non partecipata da medici». Lo stesso discorso vale anche per «i punti riguardanti informatori scientifici e produttori», nonché per i rapporti di lavoro pubblico e privati. Il problema è che «questo è quello che sta accadendo. Pensiamo a cliniche, case di cura o società che gestiscono ambulatori che stanno acquisendo e hanno acquisito farmacie. Il rischio è poi che nascano contenziosi, sia verso le Asl sia verso le strutture nascenti».

Per risolvere il nodo, come già accennato, occorrerebbe estendere «il concetto dell'incompatibilità che senza alcun dubbio è rivolta alle persone fisiche, in modo che sia rivolta anche alle società che hanno all'interno della compagine sociale tutte le casistiche delle incompatibilità previste».
E tra le possibili soluzioni c'è anche quella legata all'attività notarile: «Se si ponesse a monte un obbligo da parte del notaio di verificare che le incompatibilità siano in capo oltre che al socio anche alle società da cui derivano, probabilmente sarebbe una bella soluzione». Cioè «nulla vieta di inserire e ribadire nello statuto delle società limiti soggettivi alla partecipazione del capitale o alla trasferibilità delle quote o delle azioni, emulando quello che è già accaduto nelle società tra professionisti - per esempio nel caso di ingegneri, architetti, e così via». E questo può essere fatto, in maniera condivisa e uniforme, «a fronte di una indicazione da parte del Consiglio del notariato, che ha una grande capacità di uniformazione del diritto e a cui i notai fanno riferimento creando delle vere e proprie prassi - difficilmente disattese».