Lotta agli sprechi, dal Rapporto Gimbe emerge peso di prevenzione e compliance
23/06/2017

Situazione politica a parte, tra le azioni che andrebbero messe in campo per risollevare la sanità, c'è quella di «offrire ragionevoli certezze sulle risorse destinate al Ssn, mettendo fine alle annuali revisioni al ribasso rispetto alle previsioni e soprattutto con un graduale rilancio del finanziamento pubblico», ma anche ragionare in termini complessivi mettendo «sempre la salute al centro di tutte le decisioni (health in all policies), in particolare di quelle che coinvolgono lo sviluppo economico del Paese, per evitare che domani la sanitaÌ paghi "con gli interessi" quello che oggi appare una grande conquista». Poi occorre «avviare un piano nazionale di prevenzione e riduzione degli sprechi, al fine di disinvestire e riallocare almeno 1 dei 2 euro sprecati ogni 10 spesa», «rimodulare i LEA sotto il segno del value, per garantire a tutti i cittadini servizi e prestazioni sanitarie ad elevato value, destinando quelle dal basso value alla spesa privata e impedendo l'erogazione di prestazioni dal value negativo»; «ridefinire i criteri della compartecipazione alla spesa sanitaria e le detrazioni per spese sanitarie a fini IRPEF, tenendo conto anche del value delle prestazioni sanitarie; «attuare un riordino legislativo della sanitaÌ integrativa». Per quanto riguarda gli sprechi, l'analisi Gimbe identifica sei categorie: «sovra-utilizzo di interventi terapeutici, test di screening e diagnostici, visite specialistiche, ricoveri ospedalieri» che vale 6,75 miliardi di euro, pari al 30% degli sprechi totali, seguito da «frodi e abusi», pari al 22%, cioè 4,95 miliardi. Una categoria ampia, questa, che comprende «corruzione su forniture e convenzioni; uso improprio dei fondi per la ricerca; appalti truccati; ma anche furti di farmici e altre forniture; utilizzo di strutture pubbliche a fini privati; dirottamento dei pazienti verso strutture private, e così via». Poi c'è il capitolo dei «costi eccessivi», cioè acquisti a costi non standardizzati, oltre il valore di mercato e con differenze regionali e locali, che vale 2,25 miliardi (10%), un tema su cui l'applicazione dei costi standard potrebbe essere di aiuto. Il «sotto-utilizzo» genera invece 3,38 miliardi di sprechi, pari al 15%, e in questa categoria, importante, rientra la mancata prevenzione in termini di esami, ma anche interventi che eviterebbero spese. La «complessità amministrativa» pesa 2,48 miliardi, 11%, e si riferisce soprattutto a "eccesso di burocrazia e gestione non informatizzata delle sale operatorie». Infine c'è l'«inadeguato coordinamento dell'assistenza» (2,7 miliardi) con duplicazioni nelle prestazioni, liste d'attesa ma anche un altro tema importante: la mancata presa in carico post-dimissione.
Entrando nel dettaglio del tema del sotto-utilizzo, sono «stati identificati quattro step differenti attraverso i quali viene generato: mancato accesso all'assistenza, con, tra le cause, anche la lontananza geografica ai servizi; intervento sanitario non disponibile, a causa di carenze strutturali, tecnologiche, organizzative, professionali; intervento sanitario non prescritto o non erogato»; e soprattutto «mancata compliance del paziente: i pazienti non rispettano gli appuntamenti, non condividono gli interventi sanitari proposti, non riescono a garantire la necessaria aderenza terapeutica per diverse ragioni (distanza, costi, fattori culturali, stigma, barriere linguistiche, condizioni socio- economiche)». Infine ci sono anche «inefficienze intraziendali e interaziendali e/o scarsa integrazione tra diversi setting assistenziali o tra vari servizi dello stesso setting».