Catene, Mallarini: in Europa forti su servizi cognitivi. Associazionismo può sostenere competitività

25/02/2018


Dall'osservazione di quanto avviene all'estero risulta che il numero di farmacie indipendenti eÌ drasticamente in riduzione: oggi esse ammontano al 54% del totale in Europa e al 38% negli Stati Uniti, e, al di laÌ della numerica, esse hanno una quota di mercato nei Paesi dove sono presenti catene al di sotto del 20%, nonché margini mediamente inferiori del 18% rispetto alle catene. È questo uno dei dati che emerge dalla riflessione di Erika Mallarini, SDA Bocconi Professor, Government Health & Not For Profit Division, contenuta nel capitolo dedicato ad "Associazionismo e reti" del libro "Scenari Farmaceutici" curato da Giancarlo Esperti, direttore generale di Federfarma Servizi e direttore editoriale di F-Online, pubblicato a dicembre da Vecchiarelli editore. La riflessione parte da uno studio dell'OCPS Bocconi che «ha analizzato i possibili scenari confrontando quanto eÌ avvenuto in altri Paesi e settori e intervistando i principali attori del cambiamento».

Nel dettaglio, emerge che «le catene americane sono prevalentemente Big Chain: Walgreens ha 8.232 punti di vendita, CVS 6.288, Rite Aid 4.608. In Europa, solo il 46% delle catene ha più di 50 punti di vendita: Alliance Healthcare, afferente al Gruppo Walgreens, eÌ la principale catena europea con 3.600 punti di vendita, di cui circa 2.500 a marchio Boots; Celesio, parte del Gruppo McKesson che rappresenta il 1° distributore farmaceutico mondiale, proprietario del marchio Lloyds presente anche in Italia, ne ha 2.337; Phoenix, proprietaria di Comifar, ne conta 1.243. Le catene, peroÌ, sia in Europa sia negli Stati Uniti, non sono tutte "di proprietaÌ". La catena Healthmart, legata al Gruppo Mc Kesson, presente in Italia come Gruppo Admenta e farmacie Lloyds, eÌ costituita da 2.900 farmacie, tutte in franchising, quindi di proprietà di imprenditori diversi. Le stesse Lloyds in Italia sono 198, 169 di proprietà di Admenta, 29 in franchising di proprietà di farmacisti, cui si aggiungono 17 corner in GDO. In Europa, le catene di proprietà sono il 16%, mentre il 27% sono catene virtuali, ovvero aggregazioni di farmacie che sebbene non appartengano a un medesimo soggetto, risultano riconoscibili all'esterno come un'unica entità, in quanto ogni punto di vendita rispetta degli standard comuni. Lo stesso gruppo Walgreens Alliance Healthcare, oltre alla nota rete di proprietà Boots, in Europa ha 4.800 farmacie in franchising sotto il brand Alphega».

Si vede come «la proprietà non eÌ condizione neì necessaria neì sufficiente per la realizzazione di reti: infatti abbiamo aggregazioni di cui fanno parte imprenditori indipendenti, e abbiamo Paesi in cui la proprietà eÌ stata liberalizzata, come la Spagna, ma dove non si sono costituite reti di capitale e i network virtuali coinvolgono solo il 3% delle farmacie». Nel nostro Paese, «il 20% delle farmacie dichiara di partecipare a network virtuali, ma in realtà solo una minima parte di queste rientrano realmente nella definizione. Infatti, poche rispettano un format o delegano parte delle proprie attività a un gruppo: in genere quelle che si definiscono reti in Italia sono vissute dai farmacisti come aziende di servizi, fornitori dai quali ricevere quelle iniziative commerciali e di marketing che di volta in volta si ritengono utili», con una «riconoscibilità non troppo invadente». E la GDO? «In Europa i principali gruppi della distribuzione di largo consumo possiedono farmacie: Leclerc, Carrefour, Auchan, Tesco, Sainsbury, Wal-Mart con ASDA. In Italia Coop Estense ha di recente acquisito le 13 Farmacie Comunali di Modena. Tuttavia, la presenza della pianta organica dovrebbe limitare pesantemente l'ingresso della GDO nel settore, non consentendo nuove aperture e vincolando territorialmente le sedi dei punti di vendita». Altri attori «peroÌ sembrano fortemente interessati al settore: le retail clinic, ovvero aziende specializzate in sanitaÌ leggera - ambulatoriale e odontoiatria - e aziende di prodotti per la salute e il benessere che stanno pensando di sviluppare in proprie farmacie dei flagship store».

C'è poi un altro elemento interessante indagato: «il posizionamento delle catene di farmacie, ovvero la proposta di valore al cittadino paziente. Nella maggior parte dei casi, al contrario di quanto ci si potrebbe aspettare, i gruppi non si posizionano sulla mera convenienza, ma su standard professionali. La stessa Boots che molti immaginano come modello di drugstore, lavora a stretto contatto con il Sistema Sanitario Pubblico Inglese, con algoritmi certificati di pharmaceutical care, e propone servizi che vanno dalla dose personalizzata del Piano Terapeutico all'assistenza domiciliare ai pazienti oncologici. Le farmacie italiane, pertanto, potrebbero trovarsi a competere con soggetti forti non soltanto sui prezzi, ma sui servizi socio-sanitari, sulle tecnologie digitali per la salute, sui rapporti con le assicurazioni». Ecco allora che è «difficile affrontare il cambiamento da soli». Le «difficoltaÌ sono soprattutto culturali. Innanzitutto nel mondo cooperativistico eÌ complesso passare da una logica di uguaglianza, in cui si offrono gli stessi servizi a tutti gli associati, a una logica di equità, cui si offre a ciascuno quanto serve rispetto alle sue specifiche esigenze». Inoltre «manca nel nostro settore il concetto di imprenditorialità diffusa: delega di alcune funzioni non vuol dire perdita di indipendenza, neì tantomeno di imprenditorialità. Si può essere co-imprenditori di qualcosa di più grande e comune». Infine, «non c'eÌ cultura di cosa siano realmente le reti, i network, le catene, i gruppi di acquisto, le centrali di acquisto. Ciò che spesso eÌ stato definito rete o gruppo di acquisto non lo era, e un suo eventuale insuccesso viene quindi associato all'insuccesso del modello stesso. Ma l'aspetto più complesso eÌ l'assenza di fiducia, e senza fiducia eÌ impossibile costruire qualcosa insieme» conclude Mallarini.