Brexit, parallel import in difficoltà. L'avvocato: Gb potrebbe ancora rimanere nell'Ue

11/07/2016


I distributori intermedi inglesi stanno già risentendo dell'effetto Brexit, la svalutazione della sterlina, infatti, erode i margini di guadagno degli importatori paralleli d'Oltremanica, intaccando uno dei meccanismi chiave che regola il mercato inglese (e non solo) dei farmaci, ancor prima che la Gran Bretagna sia uscita ufficialmente dall'Eurozone. Un danno notevole se si considera che, dopo la Germania, la Gran Bretagna è il più grande importatore parallelo di farmaci dell'Ue, come emerge da un recente report della Ims, società di ricerche di mercato, leader mondiale nel canale farmaceutico. Un problema che coinvolge, a catena, tutti i Paesi che dell'export parallelo dei farmaci hanno fatto un core business, proprio come l'Italia.

E se questa è la situazione attuale, cosa succederà con il commercio in Gran Bretagna in vista della possibile uscita effettiva del Paese dall'Ue? È tutto da vedere, ma a giudicare dai primi segnali da Bruxelles, l'Unione sembrerebbe decisa a bacchettare il comportamento degli inglesi, perché ovviamente non sarà possibile abbandonare l'Unione sgravandosi degli oneri connessi alla partecipazione, ma mantenendo i diritti, come quelli derivanti dalla presenza di un mercato unico europeo: "Se la Gran Bretagna sarà fuori dal mercato unico, tecnicamente il movimento delle merci dalla Gran Bretagna al resto d'Europa, si dovrebbe configurare come un'operazione transfrontaliera di import export, con gli oneri e doveri che questo comporta - afferma l'avvocato Quintino Lombardo, dello studio legale Cavallaro Duchi Lombardo di Milano e Roma parlando con F-online - dipende tutto da come avverrà l'uscita dall'Ue e dagli accordi che verranno presi al termine del complicato biennio di trattative che spetta al Governo inglese avviare. In ogni caso, resta fermo che tutto ciò che viene venduto nell'Unione deve rispettare le regole dell'Unione e ciò vale a maggior ragione per i medicinali, anche alla luce delle specifiche applicazioni che il codice comunitario dei medicinali trova in ciascuno Stato membro, a partire da quelle sull'autorizzazione all'importazione".

Lo tsunami Brexit che ha travolto l'Europa, dunque, sta delineando scenari quasi apocalittici per il Regno Unito: dalla Scozia che è pronta a lanciare un referendum per separarsi dal Regno Unito, all'Irlanda del Nord che non ha nessuna intenzione di uscire dall'Unione, al pugno di ferro che sta adottando l'Ue con il Parlamento inglese e che lascia presagire future trattative non proprio rosee per gli inglesi, all'effettivo rischio di recessione per Londra con forte impatto anche sul Pil dell'Ue. Tuttavia, la possibilità che il Regno Unito non esca dall'Unione esiste. "Il referendum ha un grande valore politico, ma un valore giuridico meramente consuntivo e questo significa che esso non determina l'uscita effettiva del Paese dall'Ue. La situazione non si è ancora assestata - afferma Lombardo - Nell'ipotesi più estrema, ad esempio, se dovessero essere indette nuove elezioni politiche nei prossimi mesi, potrebbe concretizzarsi la possibilità di una nuova maggioranza no Brexit. E allora il nuovo parlamento eletto dopo il referendum sarebbe sempre obbligato ad adeguarsi al risultato di quest'ultimo? Oppure alla luce di quanto sta accadendo e accadrà nei prossimi mesi, emergerà la possibilità di ripeterlo, come è accaduto in passato per altri paesi europei?". Uno scenario non propriamente da escludere se si considerano le recenti dimissioni del primo ministro Cameron e dello stesso leader del UK Indipendent Party Farage, per non parlare della situazione del partito laburista che, di fatto, ha perso 12 ministri ombra su 30 nel giro di 2 giorni.

In caso contrario, l'esperto sconsiglia di fare affari con l'Oltremanica: "Oggi se fossi un investitore starei molto attento ad impegnarmi nel Regno Unito, principalmente per due motivi: il primo è il clima di instabilità, che è nemica dell'investimento per eccellenza (come peraltro noi italiani sappiamo bene), il secondo è che Londra ha un mercato interessante per ragioni strategiche che potrebbero tra breve venire meno. Fare commercio con il Regno Unito potrebbe diventare molto più complicato e costoso. Già un minuto dopo il referendum il mercato inglese è di fatto diventato meno appetibile. Se dovessi aprire un'attività in Gran Bretagna, mi muoverei con la massima prudenza perché non so con che tipo di norme avrò a che fare di qui a un paio d'anni". In generale, chi pensa che l'uscita della Gran Bretagna non avrà ripercussioni negative sull'Eurozone si sbaglia e ulteriori conferme arrivano dalla Standard & Poor's: "Lo shock della Brexit sarà concentrato sul Regno Unito, ma avrà importanti ramificazioni nel resto dell'Europa". In particolare, secondo le previsioni dell'agenzia di rating, l'effetto negativo sul Pil britannico dovrebbe essere dell'1,2% nel 2017 e dell'1% nel 2018, ma impatterà anche sulla crescita dell'Ue per lo 0,8% nel 2017 e 2018.