Diretta vs Dpc, algoritmo Sifo verso la discussione. Ecco cosa manca

13/05/2018


Le specificità orogeografiche dei territori, il grado di presenza dei servizi di trasporto pubblico, lo stato di salute della popolazione, l'età media, la ricchezza complessiva, il tasso di rinuncia alle cure sono fattori da cui non si può prescindere se si vuole individuare una modalità di distribuzione dei farmaci più appropriata, anche perché il rischio è che possano aumentare le disuguaglianze nella risposta assistenziale ai pazienti o che si possa produrre una rinuncia alle cure. È questa l'indicazione che arriva da Tonino Aceti, coordinatore nazionale del Tribunale per i diritti del malato-Cittadinanzattiva, che abbiamo intervistato a proposito della nuova formulazione del modello di confronto tra distribuzione diretta, Dpc e convenzionata - a cui le Regioni possano appoggiarsi per selezionare il più appropriato canale distributivo per i farmaci del Pht - elaborato dalla Sifo, in collaborazione con Giuseppe Turchetti, docente di Economia e management della Scuola Superiore S. Anna di Pisa. La revisione del modello, diffusa dalla Sifo a metà febbraio, aveva recepito le osservazioni che erano state avanzate nell'ultimo incontro di metà gennaio del tavolo dedicato al tema - che vede riunite Fofi, Federfarma, Assofarm, Farmacieunite, Adf, Federfarma Servizi, Assoram, Sifo, Sinafo, Cittadinanzattiva - e ora, in attesa del prossimo appuntamento del 23, sta ricevendo ulteriori osservazioni da parte delle varie sigle, molte delle quali riguardano proprio la definizione dell'Equità di accesso. Come avevamo anticipato (cfr. F-Online 27 marzo 2018), «i servizi in distribuzione diretta (DD), distribuzione per conto (DPC) e distribuzione convenzionata vengono valutati attraverso due dimensioni che consideriamo indicatori di una "scelta appropriata" per l'Amministrazione regionale: l'economicità del processo distributivo e l'equità nell'accesso ai farmaci», che «vengono determinate in termini monetari» per rendere «il confronto tra le diverse alternative più agevole». Nello specifico, per quanto riguarda l'equità nell'accesso, da quanto si apprende, risulta strutturata in due voci, che si sommano tra loro: Costo totale trasporto paziente e Perdita produttività trasporto paziente. In particolare, il primo punto è ottenuto moltiplicando la Distanza media tra abitazione paziente e ospedale o farmacia territoriale e il Costo medio a km (considerando sia l'andata sia il ritorno). La seconda voce è data invece dal Tempo necessario ad accedere al farmaco (ore); Tempo medio dedicato al paziente per erogazione farmaco (min); Tempo di attesa in coda (min), il tutto moltiplicato per il Salario medio orario paziente (o pensione media oraria).
«In generale» è il commento di Aceti, «apprezziamo l'intento di tutto il lavoro: il fatto di mettere a punto uno strumento che cerchi di superare la discrezionalità della politica regionale e di ancorare la scelta a evidenze è uno sforzo che va nella direzione giusta». Obiettivo condivisibile, quindi, anche se «ci sono alcune questioni che meritano di essere maggiormente approfondite e che abbiamo segnalato in un documento inviato alla Sifo e alle altre sigle del tavolo». Una prima riflessione «riguarda il fatto che il nostro paese è composto da realtà altamente differenti una dall'altra, costituite da specificità territoriali, da un diverso grado di presenza di servizi, ma anche da caratteristiche epidemiologiche e sociali molto diverse e questo anche all'interno di una stessa unità amministrativa, che sia la Regione o l'Asl». In questa situazione, «spicca oltre tutto il problema della gestione delle aree interne, più disagiate, distanti da grandi centri di agglomerazione e di servizio, talvolta con una maggiore presenza di anziani. Aree che, per altro, rappresentano una fetta non indifferente del Paese, con il 60% della superficie territoriale, il 22% della popolazione e il 52% dei Comuni. Quello che vorremmo sottolineare è che un modello di definizione del canale distributivo del farmaco non può prescindere dalla valutazione di questi elementi e, anzi, dovrebbe essere in grado di cogliere, adattarsi e dare risposta alle diversità e soprattutto alle fragilità di certi territori». Mentre, «allo stato attuale, l'algoritmo, che lavora su base regionale, prende a riferimento per ogni item o voce messa a sistema - come per esempio la distanza tra domicilio del paziente e farmacia o centro di distribuzione ospedaliero - un valore medio. Il punto è che, difficilmente, una media riesce a essere appropriata per realtà e zone di una stessa regione profondamente diverse una dall'altra e il rischio è di sfavorire gli abitanti delle aree interne, già svantaggiate, poco servite da mezzi pubblici, con una rete stradale insufficiente e una orografia complessa. Riteniamo, quindi, che lo strumento meriti di essere approfondito e irrobustito su questo aspetto. Da parte nostra, per ovviare a criticità che si sviluppano dal calcolo della media, proponiamo di applicare il modello almeno su base provinciale, anziché regionale, o di prevedere un sistema in grado di attribuire agli indicatori pesi diversi a seconda delle caratteristiche delle aree su cui dovrà essere applicato».

Anche sul fronte dei contenuti, «un'altra riflessione che facciamo è che ci sono fattori che possono contribuire all'accessibilità al farmaco e che, se non tenuti nel debito conto, possono determinare e aumentare le disuguaglianze, quali per esempio l'età media della popolazione, lo stato di salute, il Pil pro capite, il tasso di rinuncia alle cure. Si tratta di dimensioni che, a nostro parere, devono entrare nell'analisi e che devono essere valutate, in quanto proprio su questi punti la modalità di distribuzione può fare la differenza». Così come «non possono non trovare posto voci quali gli orari e giorni settimanali di apertura del punto di distribuzione del farmaco. Questo perché orari di apertura poco estesi, incompatibili e incoerenti con il ritmo normale delle persone e della vita lavorativa, hanno un grande impatto sulla vita dei pazienti e dei caregiver e sulla cura. Il livello di accessibilità e qualità del servizio offerto al cittadino conta e deve entrare in un sistema di valutazione del canale distributivo». In questa direzione, «anche la "necessitaÌ di tornare al punto di dispensazione (DD o DPC o convenzionata) per assenza farmaco in stock" o "il numero medio di volte che il farmaco viene preso in farmacia ospedaliera o centro di distribuzione (per DD) o farmacia territoriale (per DPC e convenzionata) in un mese (esclusa la prima volta e in occasione delle visite di controllo)", citati nel razionale del documento, ma poi non richiamati nel modello, sono importanti. E segnaliamo anche la frequenza delle corse dei mezzi pubblici oppure, dal punto di vista economico, l'usura del mezzo privato».
In generale, «non abbiamo trovato un riferimento chiaro ed esplicito al peso che l'algoritmo attribuisce alle due dimensioni attorno cui si sviluppa, dell'economicità del processo e dell'equità dell'accesso, né sono indicati i rispettivi range di accettabilità entro i quali i due valori si muovono. Ci auguriamo che l'equità dell'accesso concorra almeno con pari dignità, se non di più, nella valutazione del modello di distribuzione da applicare e non possiamo che ribadire, dal nostro punto di vista, che per l'ente o l'istituzione che dovrà utilizzare l'algoritmo questi aspetti siano imprescindibili. Altrimenti, il servizio sanitario nazionale manca una delle sue mission principali. Non dimentichiamoci che il nostro è un sistema pubblico e universalistico: per il Ssn guardare alle esigenze appropriate dei cittadini non è un fatto opzionale, ma è un elemento fondante».

Nei documenti poi viene richiamata anche la possibilità di estendere il modello "considerando altre voci quali il livello di soddisfazione dell'assistito e della qualità percepita del servizio ricevuto e "la rilevazione di tali dati potrebbe essere demandata alle Associazioni dei Cittadini e dei Pazienti, che periodicamente potrebbero condurre survey sul gradimento del modello in uso e dei possibili altri modelli". «Apprezziamo il fatto che si condivida che la valutazione del servizio sanitario debba essere svolta dalle associazioni di cittadini e pazienti, ma crediamo che il loro ruolo non debba esaurirsi nella fase di monitoraggio, ma, anzi, siamo convinti che pazienti e cittadini debbano essere attori nella fase di riflessione e di rivalutazione del modello, così come nei successivi momenti decisionali e di definizione delle politiche, che vanno impostate proprio anche sulla base dei dati prodotti da un sistema di valutazione».

Infine un'ultima osservazione relativa alla applicazione del modello:«Una volta elaborato l'algoritmo, con il contributo e l'accordo di tutti, riteniamo necessaria, prima di una sua applicazione e messa a sistema, una fase di sperimentazione e di simulazione nei vari territori, dal nord al sud, dalle città metropolitane alle zone periferiche, fino alle aree più complesse e disagiate. Questo per avere una rilevazione e valutazione degli impatti realmente prodotti nelle varie situazioni, delle criticità e punti di forza che potranno emergere a seconda delle peculiarità dei territori. Sulla base, poi, di dati certi ed evidenze, si potrà allora avviare un ragionamento per capire eventuali correttivi e valutare se e in che modo portare lo strumento a sistema».