Elezione Trump, l'esperto: ripercussioni su industria farmaco e distribuzione

22/11/2016


Se in ambito sanitario il neo eletto presidente degli Stati Uniti Donald Trump sembra voler mantenere in linea di massima il progetto politico presentato durante le elezioni (pur con qualche correzione in corsa), in campo farmaceutico le ipotesi emerse potrebbero impattare negativamente sull'industria del farmaco, mentre a giovarne potrebbero essere i distributori. A parlarne con F-online è Claudio Jommi, Professore Associato di Economia Aziendale al Dipartimento di Scienze del Farmaco Università del Piemonte Orientale, Novara e referente scientifico dell'Osservatorio Farmaci del Cergas dell'Università Bocconi.

Tra le iniziative citate da Trump in campagna elettorale ci sarebbe quella di riaprire le frontiere per l'import di farmaci, che potrebbe portare l'industria a risentirne negativamente. «Se verrà aperto il commercio parallelo dei farmaci, a trarne vantaggio potrebbe essere la distribuzione (che si avvantaggerebbe dei differenziali di prezzo ancora rilevanti tra USA ed altri Paesi) e a perderci sarà l'industria - afferma Jommi - Se il commercio parallelo darà una spinta per la riduzione dei prezzi, questa andrà a favore del cittadino e, in generale, di chi finanzia la spesa farmaceutica. In entrambi i casi l'industria potrebbe risentirne negativamente: il mercato americano è caratterizzato da prezzi alti e rapida penetrazione dei prodotti, ed è quindi un mercato di riferimento rilevante per l'industria. Quanto questo rappresenti una minaccia per gli investimenti dell'industria o una riduzione di sovra-profitti dipende molto da impresa a impresa, ma certamente l'industria potrebbe contare meno sul mercato americano per recuperare in tempi rapidi i costi di ricerca e sviluppo che ha sostenuto». Su questo versante la proposta di Trump potrebbe risultare in parte contraddittoria rispetto alle posizioni assunte negli altri ambiti delle relazioni commerciali ispirate alla reintroduzione di dazi doganali. Un secondo punto supportato in campagna elettorale e condiviso anche dalla Clinton prevedeva una qualche forma di regolamentazione dei prezzi dei farmaci, almeno se acquistati da programmi pubblici di assistenza e «questo sarebbe rivoluzionario per il contesto americano perché negli Stati Uniti i prezzi dei farmaci sono liberi al lancio - afferma Jommi - Così è almeno per i prezzi di listino successivamente modificati per effetto di eventuali sconti. Anche questo cambiamento potrebbe avere un impatto importante sui prezzi, in senso sia assoluto (riducendoli) sia relativo (riducendo maggiormente i prezzi dei farmaci con valore aggiunto meno rilevante per il sistema sanitario). Indirettamente poi vi sarebbero ripercussioni sulle compartecipazioni alla spesa da parte dell'assistito che sono collegate percentualmente al prezzo».

L'altro aspetto trattato da Trump riguarda i generici, «il neo presidente vorrebbe promuoverne l'utilizzo - spiega Jommi - In realtà nei Paesi Anglosassoni in genere, la penetranza dei generici è abbastanza alta e i prezzi dei generici sono piuttosto bassi. In USA, in particolare, esiste una chiara differenziazione tra mercato dei farmaci coperti da brevetto, con prezzi elevati e penetrazione sul mercato rapida, e mercato off patent nel quale agisce un'importante competizione di prezzo e le imprese produttrici di nuovi prodotti di marca tendono e ridurre sensibilmente la spinta promozionale, potendo contare sul tasso di penetrazione elevato dei nuovi farmaci prossimi ad entrare sul mercato». In generale comunque «non è facile comprendere fino in fondo la linea di Trump sulla politica del farmaco: in primo luogo non è chiaro quale sia la priorità data a tale politica rispetto ad altre (immigrazione, pressione fiscale) su cui sembra voler puntare maggiormente. In secondo luogo, la sua politica presenta elementi interni di contraddizione che sarà difficile non emergano in futuro, quando su diversi fronti vi saranno pressioni affinché tali politiche vengano ammorbidite», conclude Jommi.