Dpi, Nevi (Assosistema): il controllo di documenti e certificati è fondamentale contro rischi

27/07/2020


La differenza tra mascherina chirurgica e Dispositivo di protezione individuale deriva dallo scopo per il quale vengono progettate e utilizzate e, proprio in relazione a diverse finalità, i due prodotti rispondono a riferimenti normativi e sono sottoposti a procedure per la valutazione di conformità differenti. Ma come è possibile riconoscere i due prodotti? E in che maniera ci si può orientare quando si ha a che fare con prodotti importati o nuovi fornitori, anche per non incorrere in problemi? Ne ha parlato a F-Online Matteo Nevi, segretario generale di Assosistema (Confindustria). Con Assosistema Federfarma Servizi ha avviato una collaborazione che ha portato, durante la Fase 1 del Covid, webinar informativi su temi tecnici specifici.


Partiamo dai principali elementi che definiscono il quadro regolatorio dei Dpi. Quali sono?

In situazioni ordinarie, il solo riferimento normativo per tutti i dispositivi di protezione individuale è il Regolamento Europeo 2016/425, che definisce una serie di obblighi e disposizioni per gli operatori del settore e individua i requisiti essenziali di salute e sicurezza cui devono esse conformi i dispositivi di protezione. A seconda delle diverse tipologie di prodotti, i fabbricanti adottano delle norme tecniche armonizzate che contengono al loro interno i principi con i quali progettare il dispositivo e i metodi di prova con i quali testare le prestazioni dello stesso. L'adozione di uno standard armonizzato costituisce una presunzione di conformità ai requisiti di salute e sicurezza descritti nel Regolamento, di conseguenza fabbricare un dispositivo di protezione in linea con le norme armonizzate, rende quest'ultimo conforme al Regolamento Ue 2016/425. Un esempio di norma armonizzata che abbiamo imparato a conoscere in questo periodo è la EN 149, relativa ai facciali filtranti Ffp2/Ffp3, ampiamente utilizzati nella lotta contro il Covid. Con la pubblicazione del Dl Cura Italia, fino alla fine dello stato di emergenza, è stato poi istituito il percorso di validazione in deroga Inail, che si configura di fatto come un quadro normativo a sé stante, dato che amplia la gamma di Dpi ammessi dal mercato, aprendo anche a quei prodotti non conformi alla legislazione comunitaria, ritenuti da Inail in grado di fornire prestazioni protettive equipollenti ai prodotti conformi al Regolamento. Rimane da capire se lo stato di emergenza sarà effettivamente prorogato, come annunciato, e se le misure derogative in ingresso di materiali saranno confermate e in che modalità.


Possiamo ricapitolare le differenze tra Dpi e mascherine chirurgiche?

La differenza tra le due tipologie di maschere è sostanzialmente legata allo scopo per le quali vengono progettate. Le Ffp1/Ffp2/Fffp3 nascono per essere utilizzate in ambito industriale, per proteggere il lavoratore che opera in un ambiente inquinato ed è esposto sostanze nocive. Hanno il compito primario, dunque, di proteggere l'indossatore dal particolato presente nell'ambiente circostante. La mascherina chirurgica, come suggerisce il nome stesso, ha uno scopo diverso, dato che viene adottata normalmente nelle sale operatorie dal personale sanitario per evitare che chi lo indossi emetta sostanze "inquinanti" nell'ambiente circostante. Banalmente, un chirurgo che sta operando un paziente dovrà indossare una maschera chirurgica per tutelare il paziente e per evitare che possa essere esposto a eventuali infezioni. Per queste diverse finalità i due prodotti rispondono a due riferimenti normativi differenti: come detto in precedenza le Ffp, in quanto Dpi, seguono quanto prescritto dal Regolamento Ue 2016/425; mentre le mascherine chirurgiche si configurano come Dispositivi medici (Dm) e pertanto rispondono alla Direttiva 93/42/CE (alla quale subentrerà nel 2021 il Regolamento UE 2017/745). A cascata, anche le procedure per la valutazione di conformità dei prodotti differiscono, così come le norme tecniche di riferimento: ho già evidenziato lo standard per le Ffp, ovvero la EN 149, alla quale fa da contraltare la norma di riferimento per le mascherine chirurgiche, ovvero la EN 14683.


In che maniera è possibile riconoscere i diversi prodotti?

Come già accennato, rispondendo a norme comunitarie differenti, i processi di valutazione di conformità sono differenti. Le Ffp sono dispositivi di protezione di terza categoria, pertanto richiedono l'intervento di Organismo Notificato che comprovino la rispondenza ai requisiti di salute e sicurezza. Se la valutazione condotta dall'Ente accreditato ha esito positivo, il fabbricante appone la marcatura CE, direttamente sul facciale (quindi sul prodotto), a cui fa seguito un numero di quattro cifre che identifica l'organizzazione che ha condotto le verifiche sul prodotto. Di conseguenza, ogni Ffp rispondente al Regolamento UE 2016/425 presenta la marcatura CE direttamente sul facciale così come il riferimento alla norma tecnica adottata dal fabbricante, ovvero la EN 149. Le mascherine chirurgiche, invece, sul prodotto non presentano alcun tipo di marcatura, ma la superficie filtrante risulta completamente "pulita". Il marchio CE è apposto direttamente sul packaging nel quale il prodotto è contenuto, dove deve essere presente anche il riferimento alla relativa norma tecnica (EN 14683). Entrambi i prodotti, infine, devono essere accompagnati da una dichiarazione di Conformità UE, un documento redatto dal produttore che attesta la conformità del prodotto e riassume le prove condotte sul modello stesso. Anche in questo caso, ci dovrà essere il riferimento alla norma comunitaria cui risponde il prodotto, che varierà se abbiamo di fronte un Dm, quindi una chirurgica o un Dpi, quindi una Ffp.


Quali criticità sta vivendo in questo momento il settore?

Dall'inizio della pandemia, si sono ravvisate alcune problematiche legate alla reperibilità di dispositivi di protezione sul mercato. I produttori operano ormai da mesi su tre turni giornalieri e a regime continuo, ma il picco di domanda riscontrato a livello globale è ancora molto più elevato rispetto la norma. Attualmente la situazione sembra in leggero miglioramento, soprattutto grazie alle opportune indicazioni fornite dall'Organizzazione mondiale della sanità e dal ministero della Salute, che abbiamo condiviso anche noi in quanto associazione, utili ad una più efficiente allocazione dei dispositivi di protezione, il cui impiego, nei primi mesi dello stato di emergenza, sembrava essere demandato anche per coloro che realmente non si trovavano in una situazione a rischio di contagio tale da necessitare di una Ffp. Sul mercato si riscontrano, inoltre, anche prodotti non conformi alle normative e tanto meno validati da Inail, che, oltre a generare confusione in chi si trova a dover procedere con l'approvvigionamento dei dispositivi, mettono a rischio la salute degli utilizzatori, che si trovano ad adottare prodotti che non forniscono le dovute garanzie in termini di protezione. Infine, nelle ultime settimane, stiamo riscontrando anche alcune problematiche in dogana, dove si stanno verificando fermi di prodotti, anche regolarmente provvisti di tutte le certificazioni necessarie.


Quando si ha a che fare con prodotti importati o nuovi fornitori, in che maniera potersi orientare per non incappare in problemi?

È possibile procedere con delle analisi documentali a priori, che comprovino la validità della fornitura. Quando riceviamo offerte di prodotti che si dichiarano conformi alla normativa comunitaria, è necessario che il prodotto sia marcato correttamente e che presenti i dovuti attestati che ne comprovino la rispondenza ai requisiti del Regolamento. Nel caso di Ffp, dispositivi di III categoria, i certificati che dovrebbe presentare il fornitore sono essenzialmente due: l'attestato di conformità UE del tipo (modulo B) e l'attestato di conformità al tipo basato sul controllo della produzione (modulo C2) o sul possesso di un sistema di qualità (modulo D). Inoltre, ogni dispositivo di protezione deve essere accompagnato da una dichiarazione di conformità, redatta nella stessa lingua del Paese in cui viene commercializzato. Questa può essere presente in formato cartaceo o per mezzo di un indirizzo web al sito internet dove poterla consultare. Quando invece vengono offerti dispositivi validati da Inail, è necessario richiedere al fornitore la lettera rilasciata dall'Istituto, che attesta l'esito positivo della validazione. È possibile poi controllare le informazioni riportate nella lettera, confrontandole con la lista di prodotti validati consultabile sul sito dell'Inail, nella sezione dedicata al processo in deroga. Sul tema, come associazione, abbiamo realizzato un vademecum contenente una guida pratica con tutte le indicazioni necessarie a riconoscere prodotti conformi e certificati validi, che riassume al suo interno tutte le casistiche che un addetto ai lavori può trovarsi ad affrontare in fase di valutazione della fornitura e le diverse modalità con le quali individuare dispositivi idonei.


In preparazione di una seconda ondata, che certamente ci auguriamo non ci sia, quali misure potrebbero sostenere il settore, perché non si ripresentino le stesse criticità vissute in questo periodo? Quali spunti e riflessioni possiamo trarre dal periodo?

Sicuramente è necessario cominciare a pianificare fin da subito un piano di approvvigionamento tale che consenta alle strutture ospedaliere, in particolare, di non rimanere prive di equipaggiamento. Occorre un coordinamento tra il ministero della Salute e il Commissario Arcuri, per valutare l'attuale giacenza nelle strutture sanitarie e programmare le dovute forniture in modo da arrivare pronti a un'eventuale nuova ondata. Sistemi di allocazione e di stima sui Dpi necessari in caso di pandemia ci sono. Le aziende li hanno già messi in campo durante l'altra grande pandemia della Sars, basterebbe farsi trovare pronti ed evitare di duplicare, triplicare centri di acquisto. Necessario però, vista l'esperienza già maturata in questi mesi, cercare di avviare controlli molto più stringenti sia sui prodotti in ingresso sia sugli importatori per evitare che ci si affidi a gente poco qualificata con il rischio di pagare subito una merce che mai arriverà perché inesistente o non a norma e quindi bloccata in dogana.